22/03/13

Non Post. Spunti per una riforma del PD



SPUNTI PER UN RIFORMA DEL SISTEMA ORGANIZZATIVO E DEL METODO DI GOVERNANCE DEL PARTITO DEMOCRATICO

Dopo la mancata vittoria elettorale il Partito Democratico è chiamato a ragionare su un duplice orizzonte temporale. Da un lato l'urgenza di una soluzione politica che consenta di governare. Dall’altro la necessità di ridefinire la propria struttura e il modello di governace.   
All'interno del partito è in corso un dibattito, anche aspro, sulla riforma della proprie strutture. Confronto   importante anche perché il PD sin dalla nascita è stato portatore di importanti innovazioni riguardanti la forma partito. Novità  che hanno contribuito ad influenzare l’intero quadro politico, a partire dalla definizione di un sistema maggioritario (scompaginato dall’ultimo risultato elettorale) e dall’introduzione delle primarie aperte per la contendibilità della leadership (sia quelle di partito sia quelle relative alla premiership).
Prendendo in considerazione l’ultimo periodo, i principali sostenitori di proposte innovative relative alla forma-partito sono indubbiamente Matteo Renzi e Giuseppe Civati, le cui differenti visioni sono state plasticamente rappresentate nel corso dell’ultima direzione nazionale. Assemblea che Renzi ha polemicamente abbandonato, con la chiara intenzione di smascherare l’ipocrisia e l’inutilità dell’attuale forma di governance. Un atteggiamento legittimo e coerente con la campagna delle primarie, in cui Renzi ha giocato tutte le sue carte sulla ricerca del consenso al di fuori della dirigenza e del partito, per rivolgersi direttamente ad un bacino ampio di simpatizzanti. Se è vero che questa partita è risultata al momento perdente sul piano interno, non altrettanto si può dire sul piano elettorale, e non solo perché non se ne ha la riprova. L’ipotesi di un partito di impronta americana, per molti versi simile ad un comitato elettorale che ruota intorno a personalità capaci di allargare il perimetro del consenso oltre il tradizionale bacino elettorale, esce infatti rafforzata dalla sconfitta del PD, che dimostra l’insofferenza italiana verso un governo di sinistra-centro.  La proposta di Renzi in merito all’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti costituisce il corollario logico di questa visione, perché solo un partito “leggero” è in grado di affrontare una simile riduzione della spesa e allo stesso tempo di attrarre finanziamenti privati. Si tratta di un partito con minore forza pervasiva, ma anche capace di alleggerire la “pressione” e l’occupazione della società ontologicamente esercitata da partiti più strutturati.
La posizione di Civati, che ha messo al centro del proprio intervento in direzione la necessità di ammodernare il partito e il suo linguaggio politico, si muove in un’ottica “riformista” laddove Renzi ha scelto un approccio “massimalista”. Da tempo Civati ha avanzato proposte di rinnovamento, prima scommettendo su una nuova stagione di civismo e di allargamento della partecipazione della società civile nel dibattito e nella vita del PD, ad esempio con l’invenzione del format di Prossima Italia (che segnò il culmine ma anche la fine di un progetto condiviso con Renzi). Avvertendo il pericolo della ripiegamento del PD su sé stesso, Civati è stato fautore di una costante apertura del PD sia verso la società civile sia verso gli altri partiti che si collocavano nel campo del centro-sinistra, sostenendo le cosiddette alleanze “arancioni” e tentando anche il dialogo con il movimento a cinque stelle. In seguito il tentativo riformista si è concentrato sulla restituzione del potere di scelta e di decisione ai tesserati e ai simpatizzanti. La proposta di utilizzare i referendum consultivi interni- le cosiddette doparie- su temi cruciali del partito –diritti, ambiente, spese militari, ecc – ne costituisce un esempio lampante. Anche la principale vittoria politica del gruppo civatiano va in questa direzione, avendo per primo teorizzato e fortemente caldeggiato l’introduzione delle primarie per i parlamentari, in attesa di una riforma elettorale che restituisca agli elettori il potere di scelta dei propri rappresentanti.
All’interno di questo quadro, la “strana dualità” del PD tra il ruolo di segretario e di candidato premier potrebbe costituire una risorsa, piuttosto che un problema. Il partito potrebbe strutturarsi secondo un modello civatiano (che comprende una riduzione e una trasparenza assoluta delle spese),  accettando tuttavia il modello dei “comitati elettorali” di stampo renziano per la contendibilità del ruolo di candidato alla presidenza. Perché se da un lato risulta evidente che in questa fase il centro-sinistra italiano (ma anche europeo) ha bisogno di centri di elaborazione per progettare il proprio futuro, quali solo un partito organizzato può garantire, altrettanto vero è che la conquista della maggioranza passa necessariamente attraverso l’ampliamento del proprio bacino elettorale e la selezione di un candidato dotato di capacità di forti capacità di leadership. La duplicazione dei ruoli e delle funzioni,  corredata da una norma sull’incandidabilità al ruolo di premier per il segretario di partito, consentirebbe di rafforzare la capacità di elaborazione politica del PD e allo stesso tempo di superare la ricorrenti difficoltà nell’affrontare la campagna elettorale.
La definizione di questo scenario non esclude, ma anzi implica, la necessità di una riforma della governace di partito. Questa riforma complessa dovrebbe incardinarsi, a mio parere, su due punti:
  • La ridefinizione del ruolo di segretario e, conseguentemente, dei compiti delle assemblee
  •  La ridefinzione delle procedure del metodo di discussione e decisione.

  • Per quanto riguarda il primo punto, il ruolo del segretario dovrebbe essere riformato prendendo quale punto di partenza l’esperienza del partito “liquido” veltroniano. La “restaurazione” del partito tradizionale imposta da Bersani ha infatti dimostrato, a più riprese, le sue lacune, sia nell’incapacità di dialogo e attrattività verso la società civile, sia nella selezione della classe dirigente. Il PD ha la necessità di trovare un nuovo modello di confronto sia al proprio interno sia con l’esterno, in primo luogo trovando un “coordinatore” capace di costituire e rafforzare le reti, di ottimizzare i flussi di comunicazione e di ridefinire in senso orizzontale i processi decisionali. Parlare di coordinatore invece che di segretario significa anche identificare con maggiore precisione la figura “professionale” di cui si ha necessità e i relativi skill. Il coordinatore deve essere un primus inter pares, un facilitatore del discorso, capace di individuare i temi strategici di discussione, di definire i tempi, le priorità e modalità di tale confronto.  Al coordinatore non spetterebbe invece, a differenza di adesso, il compito di sintesi finale e di decisione delle diverse proposte, poteri che dovrebbero essere trasferiti alle assemblee e agli organi dirigenti competenti. Questo cambiamento delle funzioni dovrebbe necessariamente essere trasferito a tutti i livelli intermedi del partito, dai segretari regionali a quelli di circolo. Il fallimento della formula “veltroniana” rende necessari due corollari a tale trasformazione delle funzioni: il mantenimento della dualità (di cui sopra) e la distinzione tra voto di fiducia e voto sui singoli provvedimenti.  Il mantenimento della dualità mette intatti al riparo il coordinatore dall’accusa, che fu ricorrente, di mancanza di “carisma” e “personalità” in quanto tali funzioni di leadership sarebbero incarnate dal candidato premier.
  • La distinzione tra fiducia e voto sui singoli provvedimenti  è la premessa della ridefinizione dei metodi di discussione e decisione. Il coordinatore in quanto organizzatore della “contesa” non sarebbe messo infatti in discussione dall’esito delle votazioni relative agli indirizzi strategici del partito. Nell’ambito delle discussioni, alle quali potrebbe ovviamente partecipare, il suo peso politico dovrebbe essere esattamente equivalente a quello degli altri membri dell’organo collegiale investito della decisione. La fiducia nei suoi confronti dovrebbe essere espressa solo in relazione alla sua capacità di coordinamento e non sulla sua linea politica, la quale sarebbe decisa di volta in volta dagli organi assembleari. Tale soluzione dovrebbe allo stesso tempo liberare la discussione da quell’ipocrisia di fondo e dalla stagnazione conseguente all’organizzazione per correnti. Nell’ambito delle discussioni infatti l’unica posta in palio sarebbe quella sull’argomento in oggetto, poiché il coordinatore non avrebbe il problema di trovarsi in minoranza e la sfiducia potrebbe realizzarsi solo tramite una specifica richiesta di voto su questo argomento. A loro volta i rappresentanti degli organi dirigenti dovrebbero sentirsi “liberati” da questa modalità di decisione. Il tema della “fedeltà” e dell’appartenenza ad una corrente dovrebbe essere svuotato di significato, dato che le maggioranze e minoranze potrebbero essere variabili e trasversali, a secondo dei temi, senza che ciò leda l’immagine del partito. Le votazioni dovrebbero essere l’obiettivo di ogni riunione assembleare e la discussione lo strumento attraverso il quale sviluppare una “battaglia di idee” e attraverso il quale far emergere gli oratori più brillanti e più innovatori, secondo un antichissimo quanto insuperato schema dialettico. 

La riforma del metodo richiede infine al coordinatore un’altra capacità, che potremmo definire come tempismo. Tempismo inteso come capacità di comprendere rapidamente quali sono i temi da portare in discussione e in quali sedi. In questo senso il coordinatore potrà “trattenere” a sé una parte rilevante di argomenti ( quelli che richiedono risposte immediate o quelli sui quali sono già state assunte delle decisioni), ma potrà anche decidere quali temi richiedono solo la votazione della direzione nazionale, quali quella delle assemblee e quelli per i quali sia necessaria una consultazione popolare, ricorrendo al sistema delle doparie. Una selezione di priorità in cui però venga posto l’accento sull’ampliamento della platea dei votanti, per rispondere alla necessità di partecipazione e protagonismo degli attivisti e dei simpatizzanti del partito.

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