23/04/12

Cosa succede in campagna



l'alto sguardo di mark cooper  
 

















La campagna è quella elettorale per le amministrative di Acqui. E’ anche la campagna rurale, dato che qui intorno sia circondati da splendide colline.
Nella mia campagna (any sense, come dice spesso l'amico Civati) sto scoprendo alcune novità. La prima è che siamo politicamente avanti. Non parlo di sondaggi, ma nel metodo di elaborazione di un progetto politico.
Siamo avanti perché come comitato organizzatore per Galeazzo Sindaco abbiamo superato le divisioni partitiche. Il centro-sinistra non solo si presenta unito – la destra ha invece sei candidati, sei!- ma sta già agendo unitariamente. Lavoriamo assieme senza pensare alla tessera che teniamo in tasca e al simbolo sotto il quale siamo in lista. Questo “cantiere democratico” è la migliore risposta che si possa offrire ai tanti disillusi dai partiti e dalla politica. Dentro il cantiere infatti ci sono solo due regole: partecipazione e responsabilità.  Chiunque può entrare, ascoltare, proporre un’idea per la città. Se viene condivisa, il secondo passaggio obbligato è di assumersene la responsabilità di portarla avanti. Perché le idee ci piacciono, ma solo se supportate dalla disponibilità al lavoro.  
L’altra novità è, più che altro, una conferma. Il centro-sinistra ha un patrimonio di competenze formidabile. Una “riserva” di personale, fatta di persone competenti e amministratori preparati. Persone pronte a gestire una città, perché la buona volontà è indispensabile ma da sola non basta e come in ogni attività ci vuole esercizio e studio per diventare capaci. In questi settimane ne ho incontrate e incontrerò ancora, di persone di questo tipo: Paolo Limonta, Enrico Borghi, Chiara Pirovano, Ilda Curti, tanto per fare qualche nome. Poi ci siamo noi, che sosteniamo Aureliano. Senza false modestie, penso che potremmo essere la “riserva di Acqui”, persone fedeli al discorso di Pericle agli ateniesi che inizia così: “Qui ad Atene noi facciamo così. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.” Riserve che però, in altro senso, non vogliono più essere riserve, perché per il bene della città bisogna assolutamente cambiare il colore politico dell’amministrazione, visti i troppi errori del ventennio del centro-destra.  
Siamo avanti, infine, perché abbiamo risposte concrete a chi non crede più nella politica. Risposte che passano attraverso una partecipazione non figurata, ma reale. Con i tavoli tematici, i comitati di quartiere, la trasparenza amministrativa. A chi vuole “buttare via” il voto, per protesta e indignazione,  rispondiamo di “liberare il voto”. Che significa scegliere persone competenti, preparate, che non fanno promesse da campagna elettorale, ma che si assumono pochi, seri, impegni.  Chiediamo di “liberare il voto” perché non vogliamo il voto clientelare, di interesse personale, nella speranza di ottenere favori. I “favori” intendiamo farli a tutti, cioè intendiamo agire solo nell’interesse generale, perché il bene comune è il bene che fa bene a tutti. Chiediamo di liberare il voto, perché una città va amministrata non dai parenti, dai parenti dei parenti o dagli amici degli amici. Una città va amministrata da chi è capace di pensare a tutti e per tutti.
Ecco cosa succede qui da noi in campagna!

14/04/12

Non ci fermeremo!




Non fermatevi mai! Così ci salutano Paolo Limonta e Chiara Pirovano al termine della serata di ieri ad Acqui, dedicata alla partecipazione. E come potremmo fermarci dopo aver ascoltato dai nostri amici di Milano il racconto del successo entusiasmante di Pisapia? Come potremmo, dopo aver capito che la loro energia è la nostra stessa energia, quella voglia di ripartire dalla comunità per ricostruire, rinnovare, cambiare la città? 
Tra i tanti consigli e spunti di riflessione, due mi sono restati particolarmente nel cuore. La felicità, innanzitutto. I volti sorridenti di chi ha partecipato ai comitati di quartiere, di chi si è coinvolto in prima persona. Metterci il lavoro e la faccia nella politica e alla fine sorridere, essere contenti. Abbiamo bisogno di questa felicità che viene dall'entusiasmo, in questi tempi tristi e preoccupati. Una felicità che nasce dalla convinzione che cambiare si può, in meglio, assieme!
L'altra idea che continua a "rigirarmi" nella testa e nel cuore è la riscoperta della bellezza del vivere insieme, della dimensione sociale della città. Dopo tanti anni in cui il centro-destra ha provato a distruggere un idea di comunità,  abbiamo finalmente riscoperto quanta ricchezza ci sia nel fare le cose assieme, quanto sia grande e importante il bisogno di condividere per migliorare. Le città, Acqui come Milano, hanno bisogno dell'impegno civile di tutti per risollevarsi, per superare la crisi. Fare comunità significa mettere insieme le competenze, le emozioni, le idee, i progetti. Progettare insieme, sapendo che non sempre è facile, ma che solo così si riescono a costruire le città "aperte", a misura del cittadino, per il cittadino. Chiudersi nei propri problemi, lasciare che siano altri ad occuparsene, ascoltare le promesse dei politici e politicanti non basta più e non risolve. Ci serve la buona politica, fatta da chi prova a condividere i propri problemi con gli altri e trovare assieme le soluzioni, assumendosi un pezzo di resposabilità.
Questa voglia di costruire la comunità è il punto fondamentale del nostro progetto per Acqui. Abbiamo istituito i comitati di quartiere, per dare una forma concreta a questa volontà. Ci serve e ci servirà che in tanti condividano questo progetto. E ci servono amministratori competenti, che sappiano aiutare a tradurre in pratica questa voglia di cambiamento. Diamoci una mano, sosteniamoci assieme. Cambiare si può! Cambiare si deve!

10/04/12

Il mio quartiere è il tuo quartiere


Un mese fa, circa, stavo passeggiando con il mio cane nel centro storico di Acqui. D'improvviso una quarantenne mi apostrofa dicendo che i cani nel centro non possono passeggiare.  Ogni tentativo di spiegarle che avevo il "necessaire" per evitare ogni danno arrecato dalla mia "briciola" è stato inutile. La disputa si è conclusa con la perentoria affermazione della signora, che mi spiegava che quello era “il suo quartiere” e non ci voleva più vedere lì.  
Al netto della maleducazione, la storia m’ha fatto pensare. In che senso la "signora" poteva presumere di imporre il divieto di circolazione ai cani, anche se al guinzaglio e anche se in regola con le ordinanze comunali?  In che senso il quartiere era “suo”?
E’ vero che un quartiere è di chi ci abita. Come è vero un quartiere è di chi ci lavora e di chi ha una attività commerciale. Occorre però fare attenzione. Un quartiere appartiene sempre anche agli altri cittadini: insomma, è un bene comune. Diciamo che gli abitanti della zona hanno una “prelazione” ma non una esclusiva, sulle scelte che si fanno per un quartiere. Un quartiere, infatti, non serve solo chi ci abita, ma è un servizio per la città. Così come non viene gestito solo con le tasse degli abitanti della zona, ma dalle tasse di tutti i cittadini. Un quartiere è dunque una parte della città, non una piccola città-stato.
Questa distinzione fa la differenza. Perché se ogni quartiere viene concepito e vissuto come una esclusiva degli abitanti della zona, si finisce per creare la città dei “veti incrociati”. Nessun quartiere vorrà “accollarsi” gli oneri di attività o servizi comuni che rischiano di danneggiare, disturbare, alterare la vita dei residenti. Ognuno non vorrà qualcosa: chi il centro sociale, chi la musica dal vivo, chi gli immigrati, chi il centro d’ascolto, chi i parcheggi pubblici, chi lo stadio, chi il depuratore, chi la strada e via discorrendo ... 
Con questo non voglio dire che i progetti di “interesse generale” vadano imposti dall’alto. Dico, al contrario, che è proprio la logica dei veti che finisce per  legittimare decisioni arbitrarie e non concordate. Senza una visione d’insieme e una disponibilità a ragionare come comunità, alla fine il “cerino” rimarrà in mano a qualcuno, a tempo scaduto e senza possibilità di negoziazione. E quel qualcuno, come ci insegnano tante periferie dell’Europa e del mondo, sarà spesso il soggetto più debole. Quei quartieri dove, prima o poi, esploderà la bomba del disagio sociale e che tornerà a coinvolgere, negativamente, tutti.
La mia proposta è di considerare ogni intervento su un quartiere come un intervento per la città. Sapendo che una città ha bisogno di certi servizi  e di certi spazi. Sapendo anche che i pesi e le fatiche vanno ridistribuiti su tutti perché altrimenti è l’intera struttura dalla città che rischia di collassare.
Se provo a pensare che il mio quartiere è, anche, quello di un altro, mi sembra che il dialogo possa svilupparsi meglio. E’ più facile accettare di avere un certo disagio se si pensa che contribuisca al bene della città e sapendo che, altrove, qualcun altro si assumerà un onere complementare.
Se vogliamo ripartire, occorre un cambio di mentalità. Bisogna iniziare a pensare come un "noi", perchè la città è necessariamente plurale. Se rimaniamo ancorati al nostro particolare, non riusciremo mai a metterci d'accordo. E daremo il pretesto a qualcuno altro di decidere al posto nostro, senza ascoltarci, con la scusa che siamo troppo litigiosi.  
Ma noi non siamo così. Siamo capaci di buona partecipazione. E’ giunta l'ora di dimostrarlo. 

03/04/12

Libero voto in libero Stato.




Parentopoli. A dirla in breve e con perfido gusto della provocazione giornalistica si potrebbero definire così le prossime elezioni amministrative nei piccoli e medi Comuni. Perchè a scorrere l'infinto elenco delle liste di candidati sindaci e relativi consiglieri, sembrano esserci più eleggibili che elettori. O più precisamente, ci sono molti Comuni in cui ogni candidato consigliere ha un potenziale di elettori che va dalle trenta alle cinquanta persone, al netto di un'astensione non ancora precisamente quantificabile ma presumibilmente consistente. Parentopoli, allora, perchè c'è un'alta possibilità che i consiglieri più votati siano quelli che possono contare su cerchie famigliari numerose, perchè il voto locale è molto basato sulla conoscenza personale, piuttosto che sulla "fede" politica. E questo rapporto diretto si potrebbe tradurre, anche con una certa logica, nel votare un parente candidato, che in qualche modo rappresenta una garanzia in tempi di sfiducia verso i partiti e la politica in genere.
Sarà che non "tengo parenti" nella città in cui mi candido, ma a me questa possibilità non piace un granchè. Pur sostenendo il valore della partecipazione, ritengo anche che per amministrare ci voglia un pò d'esperienza. Ciò non vuol dire aver per forza già ricoperto qualche ruolo politico- mi guardi iddio dal sostenere la necessità di mantenere l'ordine costituito e l'attuale classe dirigente- quanto piuttosto avere qualche competenza rispetto all'impegno che ci si vuole assumere. Come per ogni altra attività - che sia uno sport, un arte, un lavoro- bisogna avere un minimo di formazione prima d'arrivare a governare, sia pure un piccolo Comune. L'improvvisazione non paga, anzi a pagarla rischiano d'essere i cittadini. 
Credo che, ragionando per anologia, nessuno si farebbe operare da un parente infermiere o massaggiatore, piuttosto che da un medico la cui capacità è comprovata da esperienza e da un lungo percorso di formazione.
Per questo la mia proposta, interessatissima s'intende, è quella di provare a votare con tutt'altro criterio. D'affidarsi al merito e alla competenza, al programma che un candidato presenta, al suo curriculum precedente, a quanto ha fatto e sostenuto fino al giorno precedente. Non è forse vero, infatti, che in tanti (se non tutti) sosteniamo la necessità per l'Italia di uscire dalla logica del nepotismo e clientelismo (inteso in senso latino) e di iniziare a costruire una società meritocratica basata sull'impegno e sulle capacità.
Allora facciamo così, prima di votare: chiediamo al nostro parente cosa ne pensa di questo e di quest'altro problema cittadino, e di cosa ha fatto, prima di oggi, per provare a risolverlo. Se non ci convince, rivolgiamoci altrove. Perchè alla fine, almeno nel segreto del seggio, vorremmo votare chi ci pare, senza condizionamenti e pressioni? E allora, libero voto in libero Stato!




02/04/12

La neve di maggio.





C'eravamo lasciati il 29 gennaio '12 sotto una fitta nevicata. Alle nove di sera avevamo scoperto che quella nevicata era per noi. Per noi che avevamo sostenuto Aureliano Galeazzo come candidato del Pd alle primarie di centro-sinistra di Acqui. Aveva vinto, Aureliano, in modo tanto netto quanto sorprendente.

Dopo due mesi esatti, ci siamo ritrovati all'hotel  Nuove Terme, per presentare le liste a favore della candidatura di Aureliano a sindaco di Acqui. Siamo cresciuti, di numero, di forza, di qualità, di entusiasmo. Le liste a sostegno sono diventate 6, la squadra si è rafforzata nelle difficoltà e nei successi.

Confermiamo oggi l'impegno che ci siamo presi allora. Vogliamo fare nevicare anche di maggio. Vogliamo realizzare quest'evento soprendente, far tornare il centro sinistra alla guida della città, dopo vent'anni di amministrazione di centro-destra.

Non mi vergogno a dire che della neve mi piace il candore. La nuova politica che voglio realizzare appoggiando Aureliano è, infatti, una politica semplice e pulita. Una politica senza tatticismi, senza furberie elettorali, senza interessi personalistici, senza steccati ideologici e partitocratici. Un modo di amministrare chiaro, trasparente, che si interessa solo di problemi reali e di soluzioni razionali e concrete. Una politica accogliente, sotto la cui coltre germogliano, al riparo, le nuove idee e i nuovi progetti.

So che Aureliano è uno scalatore appassionato. Sono sicuro che ci porterà sino alla cima, assicurati l'uno all'altro, sostenendoci l'uno con l'altro. Sulla cima c'è una luce diversa e un'aria rarefatta e pura. Ci manca l'ultimo sforzo, un mese ancora. Possiamo farcela, mettendoci la stessa determinazione e la stessa capacità di lavorare di Aureliano.

Sappiamo che il nostro successo dipende solo da due fattori: la nostra capacità di sopportare la fatica e la nostra capacità di fare squadra.

Manca poco, si vede ormai il sole oltre le nuvole. Andiamo allora, per raggiungere il sogno dell'Acqui di Domani. Cambiare si può!

Buona nevicata a tutti!