10/04/12

Il mio quartiere è il tuo quartiere


Un mese fa, circa, stavo passeggiando con il mio cane nel centro storico di Acqui. D'improvviso una quarantenne mi apostrofa dicendo che i cani nel centro non possono passeggiare.  Ogni tentativo di spiegarle che avevo il "necessaire" per evitare ogni danno arrecato dalla mia "briciola" è stato inutile. La disputa si è conclusa con la perentoria affermazione della signora, che mi spiegava che quello era “il suo quartiere” e non ci voleva più vedere lì.  
Al netto della maleducazione, la storia m’ha fatto pensare. In che senso la "signora" poteva presumere di imporre il divieto di circolazione ai cani, anche se al guinzaglio e anche se in regola con le ordinanze comunali?  In che senso il quartiere era “suo”?
E’ vero che un quartiere è di chi ci abita. Come è vero un quartiere è di chi ci lavora e di chi ha una attività commerciale. Occorre però fare attenzione. Un quartiere appartiene sempre anche agli altri cittadini: insomma, è un bene comune. Diciamo che gli abitanti della zona hanno una “prelazione” ma non una esclusiva, sulle scelte che si fanno per un quartiere. Un quartiere, infatti, non serve solo chi ci abita, ma è un servizio per la città. Così come non viene gestito solo con le tasse degli abitanti della zona, ma dalle tasse di tutti i cittadini. Un quartiere è dunque una parte della città, non una piccola città-stato.
Questa distinzione fa la differenza. Perché se ogni quartiere viene concepito e vissuto come una esclusiva degli abitanti della zona, si finisce per creare la città dei “veti incrociati”. Nessun quartiere vorrà “accollarsi” gli oneri di attività o servizi comuni che rischiano di danneggiare, disturbare, alterare la vita dei residenti. Ognuno non vorrà qualcosa: chi il centro sociale, chi la musica dal vivo, chi gli immigrati, chi il centro d’ascolto, chi i parcheggi pubblici, chi lo stadio, chi il depuratore, chi la strada e via discorrendo ... 
Con questo non voglio dire che i progetti di “interesse generale” vadano imposti dall’alto. Dico, al contrario, che è proprio la logica dei veti che finisce per  legittimare decisioni arbitrarie e non concordate. Senza una visione d’insieme e una disponibilità a ragionare come comunità, alla fine il “cerino” rimarrà in mano a qualcuno, a tempo scaduto e senza possibilità di negoziazione. E quel qualcuno, come ci insegnano tante periferie dell’Europa e del mondo, sarà spesso il soggetto più debole. Quei quartieri dove, prima o poi, esploderà la bomba del disagio sociale e che tornerà a coinvolgere, negativamente, tutti.
La mia proposta è di considerare ogni intervento su un quartiere come un intervento per la città. Sapendo che una città ha bisogno di certi servizi  e di certi spazi. Sapendo anche che i pesi e le fatiche vanno ridistribuiti su tutti perché altrimenti è l’intera struttura dalla città che rischia di collassare.
Se provo a pensare che il mio quartiere è, anche, quello di un altro, mi sembra che il dialogo possa svilupparsi meglio. E’ più facile accettare di avere un certo disagio se si pensa che contribuisca al bene della città e sapendo che, altrove, qualcun altro si assumerà un onere complementare.
Se vogliamo ripartire, occorre un cambio di mentalità. Bisogna iniziare a pensare come un "noi", perchè la città è necessariamente plurale. Se rimaniamo ancorati al nostro particolare, non riusciremo mai a metterci d'accordo. E daremo il pretesto a qualcuno altro di decidere al posto nostro, senza ascoltarci, con la scusa che siamo troppo litigiosi.  
Ma noi non siamo così. Siamo capaci di buona partecipazione. E’ giunta l'ora di dimostrarlo. 

6 commenti:

  1. E' sempre facile parlare quando i problemi non ti toccano da vicino. Prova a camminare tra le pozzanghere di vomito, tra le cacche dei cani o prova a lasciare la macchina fuori e ritrovarti 600 euro di danni vandalici, poi vediamo dove va a finire tutto il tuo solidarismo

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma la solidarietà di cui parli è reciproca, non unidirezionale. Se nella zona in cui vivi c'è un problema, è compito dell'Amministrazione e della città tutta trovare una soluzione. Proprio l'abbandono di un quartiere a sè stesso genera, al contrario, la rabbia e la frustrazione.
      Ps. Se il tuo rif. è al centro storico, posso dirti che il tuo quartiere è proprio il mio. Non credo che la soluzione sia la "sterilizzazione" del centro storico quanto piuttosto specifiche attenzioni -come vigilanza più costante e in orari notturni- perchè vengano rispettate le regole del vivere civile. Quella del rumore è ancora un'altra questione sulla quale avrei in mente altre soluzioni, che in un successivo post potrei spiegarti.

      Elimina
  2. Anche perchè nel vostro programma non c'è un accidente di niente sul problema di chi vive il fine settimana in mezzo al caos e al rumore, forse fa poco radical chic dire che di questo tipo di divertimento ne faccio volentieri a meno , come dire che non sono affatto solidale con questi giovani (e meno giovani) rompiballe.E forse vi fa orrore sentire dire che dei commercianti e dei loro guadagni a me non frega un accidente di niente e che in casa mia sono il padrone e vorrei fare quello che più mi aggrada senza dipendere dagli altri.Sono poco solidale, eh?

    RispondiElimina
  3. Radical chic, comunisti, come leghisti o fascisti ecc...Etichette che non ci aiutano a sviluppare nessun tipo di discussione... Andando al dunque, liberissimo di fare quello che vuoi in casa tua, ma casa tua, tecnicamente, è il perimetro delle mura in cui vivi, appena fuori dalla soglia, sul pianerottolo, inizia la dimensione sociale del vivere: il condomino, la piazza, il quartiere la città. Anche nel più liberale dei mondi, la tua libertà ha come limite quella degli altri, per cui anche a te tocca dialogare. Certo, a te non frega nulla dei commercianti, dei giovani e meno giovani, ma da solo, appunto, non puoi imporre la tua volontà. Serve cercare un accordo, non per buonismo ma per necessità del vivere. Il far west sociale, il fucile spianato a chi bussa sulla mia soglia, non ha prodotto in questi anni un bel niente, da nessuna parte, se non peggioramento delle condizioni di vita di tutti. Detto questo, il dialogo è fatica e una certa disponibilità a mettere sul campo la disponibilità a qualche rinuncia. Sei interessato a farlo? Nel caso iniziamo a parlare di proposte concrete! Ciao

    RispondiElimina
  4. Ps. Dopo queste prime battute non sarebbe male conoscere il tuo nome

    RispondiElimina