25/11/11

La miccia è finita


La riforma del mercato del lavoro torna d'attualità (finalmente), inserita nel programma del governo Monti. E torna, puntuale, lo scontro al calor bianco nel Pd, con veti, controveti e richieste di dimissioni (sintesi qui). Il problema sta nel manico o meglio nel metodo, come spiega bene Civati.
La deflagrazione della polemica è la prova provata che la pratica attendista della segreteria del PD non funziona e non crea le condizioni sufficienti per diventare forza di governo, neanchè nell'epoca post berslusconiana (l'ho detto e incrocio le dita). Non dire niente, non assumere posizioni pubbliche chiare, non sposare una linea precisa -dalle riforme del lavoro ai diritti dei GLBT tanto per dire- può forse consentire di diventare il primo partito italiano, ma non di sapersi assumere la responsabilità di governo.
La riforma del mercato del lavoro era una grande occasione per il Pd per dimostrare la sua capacità di essere una forza progressista, capace di difendere le forze nuove e deboli di questo paese, quei giovani e forti che costituiscono la risorsa principale della Prossima Italia.
Invece per ragioni di taciuto ma evidentissimo tatticismo elettorale il PD ha considerato la riforma (e le sue indubbie problematiche) al pari di una bomba inesplosa, che non doveva essere toccata e sui cui rischi i cittadini non dovevano neppure esserer informati. Più che preoccuparsi della situazione insostenibile dei precari, il PD si è preoccupato di non entrare in contrasto con le posizioni della CGIL e di una parte consistente dei suoi iscritti, che indubbiamente non vede con simpatia la modifica dei contratti a tempo indeterminato.
Ma mentre il PD si dava da fare (a dire il vero inutilmente) per trovare un compromesso al proprio interno, gli squilibri sono cresciuti e sono diventati insostenibili nel mondo reale, causando danni economici insostenibili e tensioni sociali crescenti , di cui la punta dell'iceberg sono le manifestazioni di protesta del mondo giovanile. E si è dovuto chiamare il Monti-Robot per provare a disinnescare, non si sa ancora come, questa bomba il cui potenziale distruttivo cresce al passare dei giorni.
Allora, verrebbe da dire, qual'è il problema? Il problema è che il Pd, su questo argomento e per anni, non è stato il PD. Non è stato il partito pluralista e partecipativo che dichiara di essere nel suo Statuto. Perchè la riforma del mercato del lavoro andava affrontata in tutt'alto modo, in primo luogo informando correttamente iscritti e simpatizzanti, nonchè i cittadini tutti, dell'entità del problema del precariato, in termini sociali ed economici. Con una grande campagna di sensibilizzazione, ricordando a tutti tutto ciò che i governi Berlusconi  hanno fatto e sopratutto non fatto per risolvere la situazione.
Poi bisognava pubblicamente riconoscere l'esistenza di proposte di riforma radicalmente alternative, che potremmo sintetizzare nella proposte Fassina e Ichino, nel cui mezzo potremmo collocare Boeri, anche se più vicino al giuslavorista che al resposabile dell'economia. Una ammissione che presupponeva la capacità di discussione aperta all'interno del partito, concepito come luogo di dibattito e formazione di idee e non come terreno di scontro tra fazioni sempre pregiudizialmente orientate (i cattolici contro i laci, i sindacalisti contro i liberisti, ecc...).
Se il Pd avesse fatto il Pd, allora avrebbe mobilitato su un tema così delicato tutti i propri iscritti e simpatizzanti, utilizzando il metodo delle assemblee, mettendo all'ordine del giorno le proposte di riforma alternative presenti sul campo. Per raccogliere le voci, i pareri, i suggerimenti, i desiderata e le doglianze. Consapevole che su un tema di tale rilevanza culturale, economica e sociale non si puà procedere secondo un metodo gerarchico in vecchio stile prima repubblica, con decisioni prese da un gruppo ristretto e calate dall'alto. Specie se il gruppo ristretto è ulteriormente ristretto, perchè la proposta Fassina - Damiano non è così larga neppure nella Direzione Nazionale.
Alla fine, ma questa è una mia fissa e una mia utopica speranza, si poteva anche pensare di fare un referendum deliberativo, previsto dallo Statuto del partito. Non per contarsi, ma per fare contare. Per fare decidere ad iscritti e simpatizzanti quale sarà il nuovo orientamento del partito su un tema tanto rilevante per mille ragioni. 
Ma tutto ciò non si è fatto, tutto si è messo a tacere, si è nascosto, si è trattato in riservata sede. Tranne rare eccezioni, come nel caso di Civati, Scalfarotto, Ichino, Renzi, che per altro hanno posizioni anche diverse sul tema, ma che l'argomento l'hanno affrontato e messo sui tavoli di discussione e di incontro. 
Per gli altri, spiace dirlo, la miccia è finita e la bomba esplode. A meno che non ci salvi il Monti Robot.   














17/11/11

Rimontiamo

Ok, non è la notizia del giorno. Però un collegamento c'è, con la nascita del governo Monti, se credete che uno starnuto in Italia possa provocare un uragano nel Golfo del Messico.
Caffèparty riapre. Salutariamente, come capita ai lavoratori a chiamata o ai precari, che si sono (finalmente!) guadagnati le attenzioni del Governo.
Si riparte dalla politica, perlopiù in forma interrogativa, perchè le risposte preconfezionate ci risultano indigeste.
E si riparte anche dalle questioni locali, perchè è giusto coltivare il proprio orticello, invece che passare tutto il tempo a gracchiare alla luna.Ad Acqui infatti siamo in trepidante attesa della partenza delle primarie di centrosinistra. Abbiamo voglia di esserci, per provare a cambiare.
Negli anni passati siamo andati oltre, ancora oltre e siamo approdati alla Prossima Italia http://www.prossimaitalia.it/.
Adesso ci mettiamo di buona lena e proviamo mettere un mattoncino di un nuovo Paese anche qui in provincia.

25/01/11

11/01/11

Fiat, mancano le parole.



“All’inizio era la parola”, dice Giovanni. E questo vale anche per l’immanente e incombente caso Fiat. Le   vicende Pomigliano  e Mirafiori sono infatti questioni di linguaggio e comunicazione, prima di essere problemi di politica ed economia.
C’è il discorso di Marchionne, tanto per iniziare. Che propone un linguaggio semplificato, banalizzato, pieno di luoghi comuni.  Nel suo discorso gli operai italiani sono degli sfaticati e i sindacati che si oppongono inutili ingombri sulla strada della massima produttività.  Marchionne propone slogan da bar invece che analisi, offrendo titoli ai giornali, alimentando lo scontro ideologico al posto del confronto,  parlando alla pancia e non alla ragione degli italiani.
C’è il dogma, che sostituisce il dialogo. Perché il nuovo metodo di gestioni delle relazioni industriali della Fiat non prevede confronto. Il soggetto imprenditoriale detta le sue condizioni e rappresentanze e lavoratori devono accettare. I piani imprenditoriali sono immodificabili, impermeabili alle critiche e alle contro proposte. Chi dissente sta fuori, perde i diritti o perde il lavoro. Lo stesso metodo referendario, ricattatorio, non prevede alcuna alternativa perché segue la regola del “dentro” o “fuori”. E’ il linguaggio universale dell’autoritarismo, della comunicazione verticistica, dell’intolleranza.
C’è il linguaggio globale, ma manca la lingua dell’Europa. Marchionne ha come riferimento imprenditoriale le multinazionali  e i loro principi di delocalizzazione e sfruttamento ma trascura il vocabolario dell’Unione Europea. “L’economia della conoscenza”, pilastro dello sviluppo europeo, è sostituita dall’Ad Fiat con il risparmio sulla forza lavoro e ricerca, innovazione e sviluppo non rientrano tra le priorità del suo piano industriale.       
C’è il silenzio, affermativo, del Governo. Di fronte all’autoritarismo reazionario di Marchionne i politici di destra in parte tacciono, in buona parte applaudono. PDL e Lega, anche quando non dicono nulla, sostengono Marchionne. Perché restare inerti in uno scontro impari equivale ad agevolare il più forte. Che in questo caso è Fiat, con la sua minaccia di trasferire altrove i capitali e soprattutto il lavoro. Berlusconi e il canadese parlano la stessa lingua del Potere, insofferente al dissenso, indisponibile alla mediazione e alla limitazione del proprio dominio. Bossi fischietta distrattamente, permettendo la “cinesizzazione” degli operai del Nord che l’hanno largamente votato.
C’è il brusio della sinistra. Che riconosce l’esistenza di un problema ed è già qualcosa, considerando quanti, anche tra i sindacati, ficcano la testa sotto la sabbia e descrivono come “inevitabili” le decisioni di Marchionne,  che invece sono scelte ideologiche. Una sinistra in cui si manifestano diversità- come è normale di fronte a problemi complessi – che non devono spaventare ma che occorre portare presto a sintesi. Una sinistra che non deve confondere il riformismo con la contro-riforma, perché il progetto Marchionne non è avanzamento ma arretramento, non nuova civiltà ma rinnovata barbarie. Una sinistra che dovrebbe progettare un rilancio industriale per l’Italia imperniato sulla ricerca, sulla riforma della P.A. e sulla partecipazione dei lavoratori alle imprese.
C’è il valore del dialogo, che è, sin dal mondo greco, la sostanza della democrazia. Dialogo che non è consociativismo, corporativismo e neppure contrapposizione violenta. Dialogo come riconoscimento del carattere intersoggettivo della verità, che si realizza attraverso la condivisione e la mediazione. Dialogo che permette alle società di esistere e di “tenersi” senza frantumarsi in atomi o corpi separati vaganti per lo spazio vuoto e confliggenti. Dialogo che non può essere sostituito o negato, perché oltre la sua soglia non resta che la violenza. 

Per sostenere questo diritto minacciato penso sia giusto sostenere lo sciopero generale indetto dalla Fiom per il 28 Gennaio. Penso anche sia giusto votare “No” al referendum Fiat, perché il dialogo è il diritto indisponibile per eccellenza.

Marchionne dice che la Fiat se ne andrà da Mirafiori, se non passeranno i si. Mi piacerebbe vedere raccolta questa sfida, collettivamente. Proporrei un azionariato popolare, tra i lavoratori e i cittadini, per comprarsi Mirafiori. Che d'altra parte è già un bene nazionale, visto che è costruita con i risparmi e le fatiche degli italiani. E vorrei chiamare ad amministrare l'azienda operai e manager assieme, democraticamente. Condividendo i fallimenti, ma anche i successi. Anche per mostrare a Marchionne che la Fiat può tranquillamente fare a meno di lui, mentra la Fiat non può fare a meno degli italiani.   

10/01/11


Renzi, il terribile rottamatore, è il sindaco più amato d'Italia secondo il sondaggio del Sole 24 Ore.

04/01/11

Silenzio imposto e silenzio colpevole.



Inizia tra le polemiche il semestre ungherese di presidenza UE. Dopo le espulsioni dei rom in Francia, il trattato anti-immigrazione italo-libico, ecco le leggi ungheresi che censurano la libertà di stampa (e di investimento). Viene da chiedersi se politicamente la UE abbia una funzione/posizione o se sia solo un organismo economico.

02/01/11

Il caffè si fa "ristretto".















La novità del 2011 è il caffè "ristretto", brevi di politica e attualità. Il primo, pagato, è per Frattini.