24/12/10

Invisible sun

Credo che oggi sia la giornata adatta, per pubblicare. Il 24 dicembre, al mattino, quando molti dormono e tantissimi stanno in giro, a completare auguri e regali. Sono questi i nostri momenti, i momenti delle persone invisibili. Spiegare chi siamo non è facile e non credo neppure che esistano le categorie sociologiche adatte. Si potrebbe provare per riduzione, come un tempo provava a fare con Dio la teologia negativa: ne verrebbe già fuori qualcosa di più chiaro, come la larga esclusione dei ricchi e straricchi dal popolo degli invisibili. Perché ricchezza di questi tempi comporta esposizione, presenza, importanza individuale nelle decisioni, spesso attenzioni dei media, quasi sempre coorti di persone questuanti e domandanti e veneranti. Eppure non basta. L’uomo invisibile non è solo il non-ricco e neppure il povero. Si tratta di condizioni di possibilità ma non di definizioni. Il problema vero è che per comprendere che cos’è un uomo invisibile bisognerebbe vivere questa condizione, perché è una esperienza soggettiva, stato dell’anima. Ma moltissimi, la larga maggioranza di quelli che potrebbero originariamente essere invisibili, cerca di sfuggire a questa esperienza. La si vede chiaramente, questa fottuta paura dell’invisibilità, che opera in ogni istante della nostra vita. A cosa si deve, altrimenti, il grande successo dei social network, l’inestirpabile fascinazione della televisione? Sembra che il percorso esistenziale di molti sia ormai l’uscita dallo stato di invisibilità originaria e la conquista della sovraesposizione: tanti hanno il desiderio di avere gli occhi di tutti addosso, che a ben pensarci è una cosa terribilmente bambinesca. Lo fa anche mia nipote, che ha quattro anni, e lo fa anche il cane, che di anni ne ha 12: quando si smette di guardarli si mettono a fare le cose più stravaganti pur di essere notati. Da ciò però non deduco – perché anche io sono un invisibile- che essere al centro dell’attenzione sia necessariamente bello: sono uno di quelli vecchio stile, che crede che il percorso umano vada dalla natura alla cultura e che ha una certa diffidenza per ciò che è “istintivo”. Per istinto, tanto per cominciare, penserei solo ai cazzi miei e, sempre per istinto, dell’altro mi interesserebbe solo quando mi fa comodo. La naturalezza del narcisismo non mi sembra quindi un argomento a favore. Questa divagazione, intanto, ci ha portati ad un altro punto: gli invisibili sono persone responsabili. Intendo gli invisibili che “ci stanno dentro” all’invisibilità, non i frustrati. Chi accetta di non avere tutti gli sguardi addosso, chi non ricerca a tutti i costi la mossa ad effetto, chi vive come comprimario o maschera sul teatro del mondo è già un uomo maturo. In qualche modo s’è fatto una ragione, ha superato lo stato di natura, è diventato responsabile delle sue azioni. Non ricco, spesso al limite del quarto stato, maturo, sufficientemente riflessivo: già il quadro comincia a definirsi, come una cornice intorno allo spazio vuoto. L’invisibile, aggiungerei, non ha quasi mai ruoli di comando. Non che non ci siano persone in gamba, tra questi invisibili, anzi. Ma il pudore con gli anni è diventato un terribile difetto, un segno di mancanza di personalità, specie in un paese con certa classe dirigente. Come la modestia e l’autocritica, specialità in cui l’invisibile eccelle. Per cui se vuoi comandare, o trascinare, ci vuole la battuta pronta, il gusto dell’apparire, i tempi rapidi della risposta (anche una cazzata qualunque ma rapida), la sicurezza ontologica di trovarti nel giusto. Così si arriva a dirigere ai nostri tempi, e tuttavia non sono sicuro che sia sempre successo così. Credo che un tempo l’efficienza e la competenza reale contasse di più di certo sensazionalismo della persona ma magari è solo una invenzione nostalgica.
Comunque è interessante che ci sia un popolo di invisibili senza capitani. E’ un altro tratto dell’invisibilità, quello di non avere bisogno del comandante. In questo gli invisibili si differenziano dalla massa anonima del novecento, almeno come viene descritta dalla sociologia e dalla storiografia. Quella appariva come gente frustrata, lo insegna Le Bonn, che non sapeva più qual’era il proprio posto nel mondo e andava alla ricerca disperata e famelica  di una guida,  anche di gente improponibile come Hitler, Mussolini e compagnia cantante. Il corrispettivo di questa folla, ai tempi nostri, sono i cercatori di notorietà frustrati, che probabilmente sono la maggioranza. Gente che cerca un idolo da imitare, una guida carismatica. In Italia sono molti, forse la maggioranza e politicamente si collocano come sapete, ma se guardate bene troverete anche delle sorprese: i nomi dei leader sono su tanti stemmi elettorali e le disfide personali nei partiti sono ovunque all’ordine del giorno. Ma gli invisibili, no: avendo fatto esercizio di “oscurità”, avendo imparato a controllare il naturale onanismo narcisistico, non cercano un capo, perché non stimano chi si crede sopra e al di là. Ciò non toglie che abbiano una visione della politica. Tendenzialmente hanno passione per le idee, più che per le persone. Le idee hanno la caratteristica inalienabile di essere di molti: per quanto lo si creda nessuno “ha un’idea”, perché questa è il risultato di una accumulazione di saperi plurali. Pensate un attimo già solo al linguaggio, e non potrete che darmi ragione. Certo, in politica, come altrove, ci sono i fessi che registrano il marchio e sostengo di essere gli inventori d’un pensiero, ma questo è un altro segno di delirio individualistico. Amando quest’idea delle idee, gli invisibili amano anche la democrazia. Ma come orami capite da soli, gli invisibili sono a favore della democrazia partecipata, o addirittura diretta. I rappresentanti a vita gli fanno orrore, così diversi da loro da pensarsi indispensabili. I rappresentanti a tempo determinato, rarità in un paese come l’Italia, gli sembrano per lo più il male minore. Vorrebbero dei partiti e dei movimenti che “eroicamente, convintamente, quantuquamente” siano privi di leader, anche se i media vivono solo ed esclusivamente di piccoli e grandi protagonisti. Vorrebbero aggregazioni politiche dove proposte e decisioni si formino collegialmente. Ad alcuni invisibili, tra cui il sottoscritto, è molto piaciuta l’esperienza di Prossima Italia a Firenze, con i 5 minuti 5 dati a ciascuno per declinare la propria, di idea.
A tutti questi invisibili che stanno lì fuori vorrei rivolgere quest’anno i miei auguri di Natale. Vorrei fargli sapere che non siamo soli,  anche se così sembra. Vorrei fare sapere che anche se nessuno si cura di noi, anche se nessuno ci trasmette in televisione, anche se nessuno ci legge, ci cita, ci da la parola, noi esistiamo. Esistiamo e abbiamo le nostre ragioni, spesso migliori di chi le urla, le strepita, le declama alla folla. Vorrei anche ringraziarvi. Perché il vostro lavoro nell’ombra è spesso il serio, il più vero, il più importante. Vorrei dirvi di non perdere la fiducia, anche se la politica vi trascura e se il tempo sembra favorevole solo agli esagitati, ai narcisi, ai tronfi. Vorrei dirvi che tra noi, silenziosamente, siamo compagni. Che siamo una forza in movimento. Per resistere e per cambiare. Vorrei dirvi che torneranno i giorni in cui la dignità non avrà prezzo e in cui il lavoro serio e la competenza varrà di nuovo qualcosa.
Buon anno a voi, invisibili. Una luce soffusa si accende nella notte di Natale.  

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