10/12/10

Har-Mageddon della politica italiana?

Qualche sera fa, il 6 dicembre 2010, c’è stato un dibattito sulla crisi di governo al circolo del PD di Acqui Terme a cui sono iscritto. Hanno parlato, tra gli altri, il deputato Fiorio e il segretario provinciale alessandrino Borioli. Ottimi e  qualificati interventi, per spiegare le ragioni della crisi politica e per discutere le possibili soluzioni che il PD intende proporre. Soluzioni che comprendono anche una eventuale, e non facilmente digeribile, alleanza con Futuro e Libertà e UDC per un  governo d’emergenza nazionale (possibilità che personalmente mi lascia molto freddo). La crisi del centrodestra è stata interpretata, quasi all’unisono, come la fine del berlusconismo, che trascina con sé nel crollo il mito dell’ ”uomo proprietario”, inteso come archetipo  dell’individuo impegnato ad accumulare ricchezze e disponibile a  forzare le regole e le leggi pur di conseguire i propri  obiettivi. Si è anche detto, in modi più o meno espliciti, che nel nostro partito non è tempo di eccessive discussioni e di autoanalisi, perché occorre stringerci a coorte per questa (ennesima) Armageddon politica, dopo la quale tutte le cose saranno nuove, sotto il cielo della politica italiana.
Personalmente ho speso qualche parola per offrire una mia prospettiva di lettura, forse non troppo popolare perché autocritica verso il Pd, ma giustificata dalla grandi aspettative che nutro verso il partito. Inoltre devo ammettere che da elettore e attivista di sinistra sono stanco di reiterare la litania dell’antiberlusconismo, della lotta contro il male assoluto, della demonizzazione del nemico. Mi sembra una politica “contro” sterile (e speculare ai due schieramenti), che impedisce di vedere le ragioni altrui - che non sono le ragioni di Berlusconi ma dei suoi milioni di elettori - che perpetua una divisione ontologica e ideologica tra italiani, tacitando ogni possibilità dialettica perché qui stanno i buoni e là i cattivi e che talvolta sembra predisposta ad arte per tacitare le difficoltà  di elaborazione politica e culturale del PD: una contrapposizione che, particolare non secondario, ci ha spesso portato  alla sconfitta da vent’anni a questa parte.      
A mio parere più che di una crisi del berlusconismo siamo di fronte ad una crisi del  sistema politico complessivo, comprovata da tre dati: il primo è che mentre la maggioranza vive la sua crisi peggiore, il PD non cresce, anzi arretra, perdendo otto punti percentuali (dal 33% delle elezioni politiche del 2008  con Veltroni segretario al 25% dei sondaggi attuali); il secondo è che la fiducia degli italiani nei partiti è inferiore  al 9%, un dato catastrofico; il terzo è che gli astenuti sembrano in aumento e tale incremento ci penalizza, come dimostrano le recenti elezioni regionali.
Se è vero che come PD siamo parte integrante della crisi e non semplici spettatori, dobbiamo chiederci necessariamente quali sono i nostri errori e come possiamo correggerli. Un’interrogazione a mio parere necessaria perché al ritmo di quattro - cinque punti in meno l’anno, nel volgere di un paio di stagioni rischiamo di ridurci ad un partito collocato tra il 10% e il 15%, ponendo fine, definitivamente, non solo ad una vocazione maggioritaria, ma anche al ruolo di principale forza di opposizione del paese. Devo però constatare che questa mia domanda ieri sera non ha trovato grande ascolto, perché ( forse a ragione) è stata considerata poco influente, ritenendo che la nostra crisi di consenso sia un fatto marginale rispetto alle vicende dirompenti che lacerano il centrodestra e rispetto ai problemi economici e sociali che vive il paese. Malgrado ciò, resto con i miei dubbi, e li riformulo chiedendo aiuto a chi voglia collaborare a chiarirmeli, anche (e soprattutto) tra chi era presente ieri sera.  
Le domande insolute restano per me le seguenti:

1)  il PD è effettivamente coinvolto nella crisi del sistema politico italiano? E , se si, perché non ha avuto la capacità di rappresentare una valida alternativa?
2) Quali proposte può attivare il PD uscire da questo calo di consensi e riproporsi come forza innovatrice capace di guidare una nuova maggioranza?

Sperando nelle risposte di molti amici, ripropongo due risposte che ho suggerito ieri sera, che certo non possono essere che parziali rispetto alla vastità delle domande.

a) Gli italiani detestano i partiti e sono sfiduciati perché hanno in odio la partitocrazia, che porta nella sua scia il clientelarismo e la giustificazione del familismo amorale. In questo paese per lavorare, per trovare occupazione, per sbrigare una pratica, per avere un sostegno, vincere un bando, ottenere un finanziamento, si deve ricorrere costantemente all’aiuto, alla spintarella, alla conoscenza. Gli italiani, detto garbatamente, si sono stufati di questa situazione, sia quelli che partecipano al “gioco” sia quelli che faticosamente e meritoriamente, ne stanno fuori. I partiti e la loro ingerenza tentacolare sono molto spesso vissuti come una condanna, come un croce che il paese deve portate, come un limite all’emergere del merito e della competitività, come un freno alla voglia di fare, come il grande fardello dell’economia e dello sviluppo italiano. E infatti i cittadini perdono progressivamente fiducia anche nelle istituzioni e nello stato, verso i quali i partiti rappresentano i naturali, ma inefficaci, mediatori.  Il successo ventennale di Berlusconi e Bossi si inquadra anche (se non soprattutto) in una semplificata e demagogica concezione anti-politica, nella capacità di presentarsi come anti-burocrazia e anti – stato: un successo che è riduttivo e auto -consolatorio inquadrare come frutto esclusivo della forza mediatica del cavaliere. Ma mentre la destra fallisce in questo disegno di marcare una diversità e si rivela dominata dal clientelismo, la sinistra moderata non riesce a presentarsi come valida alternativa.
Quello che è manca ed è mancato, a mio parere, è la capacità della sinistra di affrancarsi radicalmente dal clientelarismo, di fare una battaglia radicale su questo tema, di porre (o meglio riproporre) con nettezza la questione morale al centro del proprio dibattito. Il dopo tangentopoli, dal quale siamo rimasti abbastanza immuni per diversi motivi, non ha visto una adeguata riflessione sul tema e la classe dirigente del PD ( pur provenendo a larga maggioranza dai partiti della prima Repubblica) ha fatto finta che il problema non esistesse. Anche oggi tra diversi nostri dirigenti (più o meno rilevanti) avverto confusione tra azione politica e utilizzo del potere, tanto che aiutare gli “amici” o la “gente” - agevolandone le pratiche, perorando la causa presso la P.A, dando una mano a trovare lavoro o offrendone uno - è considerato un atto meritorio, di cui i più ingenui o disinvolti si fanno pure vanto pubblicamente.  E questo senza rendersi conto, o rendendosene conto furbescamente, che aiutare una determinata persona  o un gruppo di amici (e non una categoria, una classe sociale o meglio i cittadini tutti) significa istaurare una relazione di tipo clientelare, dove qualcuno fornisce impropriamente aiuto e protezione e qualcun altro invece viene aiutato (in modo improprio a sua volta) contraccambiando con il voto e la fedeltà. Un sistema feudale che non è necessariamente illegale ma che personalmente detesto e trovo moralmente indecoroso, ma che spesso all’interno dei partiti è considerato naturale e viene legittimato (anche assegnando incarichi di comando a chi, di tale relazione di presunto aiuto, si fa garante). Un sistema che da una parte apporta certo dei voti - che diventano la merce di scambio, la moneta con cui ripagare i favori - ma dall’altra genera insoddisfazione e odio verso i partiti, esattamente come fa la relazione servo - padrone.  Un sistema  intollerabile che presuppone un senso di superiorità del “potente” di turno verso il debole, o che comunque porta ad un governo di parte, in cui vengono privilegiati i propri sostenitori a discapito di chi non ti ha votato: un sistema che trovo tanto più  inaccettabile per una forza politica di sinistra che dovrebbe avere  come valore fondante l’uguaglianza. Ma la questione morale sembra essere passata di moda nei partiti e nel PD, che vedo spesso tollerare tali situazioni. Il che mi suscita una serie di domande, che qui elenco confusamente e che non trovano una risposta:  
Perché questo silenzio e connivenza? E quanto ci costa, tale silenzio, in termini di popolarità e credibilità? E quanto costa al sistema - paese? Dove finisce il sogno di una Italia diversa, liberata da secoli di clientelarismo? Perché non riusciamo a proporre con convinzione e coerenza il progetto di un Italia capace di premiare merito e competitività? Perché non sappiamo farci promotori di una rivoluzione liberale, che è sempre mancata nel nostro paese, schiacciato storicamente dai comunitarismi cattolico e comunista, che sono degenerati nel consociativismo e nel corporativismo? Perché non mettiamo al centro del nostro progetto politico una riforma  socialista e liberale come quella profetizzata da Rosselli, in cui il bisogno di protezione sociale non entri in conflitto con le esigenze di valorizzazione delle capacità e dell’impegno? Perché non affranchiamo i giovani dal bisogno di padri e padrini e di famiglie e li rendiamo liberi di scegliere i propri destini?

b) Il secondo problema è quello della casta. Certo, si tratta di un tema populista, ma che esiste nell’opinione pubblica e non possiamo trascurare. E che probabilmente esiste in modo così sentito nell’opinione pubblica perché i partiti, come detto precedentemente, agiscono spesso più come gruppi di potere che come soggetti politici, non proponendo soluzioni strutturali alla società e ai cittadini tutti ma offrendo “protezione” ai propri simpatizzanti. Indubbiamente il Partito Democratico in cui milito è composto nella stragrande maggioranza di simpatizzanti e iscritti che mettono gratuitamente e generosamente il loro tempo a disposizione del partito e questo ho modo di constatarlo quotidianamente nella vita del mio circolo. E tuttavia le classi dirigenti danno,  a volte,  l’impressione di prendere sottogamba il problema quando si pone, non agendo con chiarezza per isolare e contrastare quei soggetti che fanno politica per proprio tornaconto personale (che è cosa assai diversa dalla legittima ambizione). La politica delle poltrone e delle prebende e degli incarichi pervade ancora troppo la vita dei partiti e rende faticoso lo sviluppo di un dibattito franco, libero. Perché quando dietro ad una discussione ci sono interessi personali il bene pubblico e il bene del partito diventano soltanto ostacoli da superare per raggiungere i propri obiettivi o meri pretesti su cui costruire proprie fortune. Su questo problema della casta e degli utili idioti che vengono utilizzati per rafforzarla  mi sarei aspettato una posizione più netta del Partito Democratico. Anzi era uno di quei presupposti che mi hanno spinto ad iscriverti al PD perché il modello di partito uscito dal Lingotto era molto diverso dai partiti tradizionali, proprio in virtù della sua apertura verso l’esterno. Perché la “casta” si può superare, se ci mettiamo d’impegno. E’ possibile in primo luogo se si mantiene il partito democratico un partito aperto, un partito “wiki”, un partito che sia in dialogo e osmotico con la società civile. Più il partito si rinserra su di sé e i propri iscritti, più rischia di consolidare una classe dirigente che tende all’autoconservazione dei propri privilegi. Il pericolo “casta” si supera anche affermando in modo inequivocabile che la politica è un servizio e non un mestiere e che quindi il potere e gli incarichi hanno carattere transitorio. La “casta” si supera inoltre promuovendo veri meccanismi democratici di competizione per le cariche elettive e per gli incarichi di partito. Le primarie sono la più importante risorsa democratica del Pd e il loro uso, invece che essere messo in discussione, dovrebbe essere rafforzato,anche per liberare nuove energie vitali del Partito e accrescere la voglia di partecipazione. Come proposto recentemente da alcuni delegati lombardi, si dovrebbero utilizzare ovunque le primarie per scegliere anche i candidati alle prossime elezioni politiche nazionali. E, sempre per evitare il fossilizzarsi della classe dirigente, si dovrebbe rispettare categoricamente lo statuto del PD , che prevedere un massimo di tre incarichi per Camera e Senato. Infine, per rafforzare il peso della base rispetto alle elite dirigenti, si dovrebbe ricorrere con maggiore frequenza all’uso delle “doparie” ovvero i referendum tra gli iscritti su questioni cruciali e controverse della vita politica del partito e del paese.

Qui chiudo con la mia analisi e le mie, parziali, proposte. E resto in ascolto dei vostri commenti e delle vostre proposte. Perché credo che l’essenza del PD sia quella di un partito partecipato e aperto alla discussione.



1 commento:

  1. Ciao Marco,
    interessante la tua analisi, ne condivido la quasi totalità; ma io credo che siano anche molte altre le cause della crisi del PD, e francamente alla luce della giornata di ieri l'urgenza di comprendere perchè il PD non raccoglie consensi sta diventando l'urgenza di non affossare del tutto il sistema paese. fare finta che dietro l'angolo non ci sia una "valanga di merda" sotto forma di crisi finanziaria tipo Grecia, ecco, mi pare davvero criminale - da parte di tutti.
    Io credo che ciò che il PD non vuole vedere (perchè? non lo so) è che in realtà questo paese ormai da mesi è scosso in lungo e in largo da una infinità quantità di conflitti:se ne dà sempre una lettura parziale, sconnessa, come se questi conflitti non ci parlassero di un'unica crisi che colpisce in modi diversi, modi apparentemente frammentati ma che hanno una sola origine,che devono trovare una cornice comune in grado di saldarli. Ci sono i rifiuti, ci sono i terremotati, gli universitari, marchionne e pomigliano, gli immigrati sulle gru, la privatizzazione dell'acqua, mettici tutto quello che in forma apparentemente slegata sta accadendo in questi ultimo mesi. la vogliamo dare una lettura coerente, a questi segnali? vogliamo dire che il PD deve essere una forza politica che si interroga sulle possibili soluzioni? Vogliamo dire che il PD non è capace di cogliere un dato fondamentale, e cioè che se il vecchio è morto e il nuovo ancora non sta nascendo, pure abbiamo il dovere di comprendere e analizzare la complessità e identificare delle proposte politiche adeguate? Si, condivido il bisogno di storicizzare, di riprendere la questione morale, di non essere più casta. Eppure mi pare che un partito possa scrollarsi di dosso le pratiche clientelari solo se ritorna ad essere portore di una proposta politica, culturale, molto forte: sai bene che non voglio - dio ce ne scampi - un ritorno al PCI e alla sua vocazione pedagogica. Dico che però questo PD è completamente scollegato con la realtà, non basta che Bersani vada sui tetti a solidarizzare con i ricercatori, e a dire che questa riforma NON va. In tutta onsetà, ho la sensazione che non basterà una generazione a ricostruire un terreno culturale e politico di sinistra, perchè questa sinistra non sa più come riempire di significato la sua stessa esistenza. E nello stesso tempo, se ci guardiamo intorno, non la vedi crescere l'inquietudine, la disperazione, la voglia di spaccare tutto? che risposte diamo?
    Lo so, ti ho fatto più domande del necessario, non ho aggiunto nessuna risposta ai tuoi quesiti.
    Ma ecco, se alziamo lo sguardo, le cose stanno già succedendo, mentre noi siamo ancora qui a domandarci se c'è vita là fuori.
    Scusa la confusione, scritto velocemente e senza rileggere, un abbraccio,
    paola signorino

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